Un povero mondo di pochi ricchi


Davos-2015-infografica_1-300x300Secondo il Rapporto Grandi disuguaglianze crescono di Oxfam, la ricchezza detenuta dall’1% della popolazione mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%. Il fatto che questa disuguaglianza sia in continua e costante crescita rende necessarie misure dirette a invertire la tendenza.

Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, il Rapporto denuncia il fatto che l’esplosione della disuguaglianza frena la lotta alla povertà in un mondo dove oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza da mangiare.Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International, userà quest’anno tutta l’influenza che deriva dal suo ruolo di co-chair al Forum per chiedere un’azione urgente volta ad arginare la marea crescente della disuguaglianza, partendo da una proposta di contrasto reale all’elusione fiscale delle multinazionali e da una spinta verso l’adozione di un trattato globale di lotta ai cambiamenti climatici.

Grandi disuguaglianze crescono è il documento di analisi pubblicato oggi da Oxfam, da cui emerge che l’1% della popolazione ha visto la propria quota di ricchezza mondiale crescere dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e che a questo ritmo si supererà il 50% nel 2016. Gli esponenti di questa elite avevano una media di 2,7 milioni di dollari pro capite nel 2014. Del rimanente 52% della ricchezza globale, quasi tutto era posseduto da un altro quinto della popolazione mondiale più agiata, mentre il residuale 5,5% rimaneva disponibile per l’80% del resto del mondo: vale a dire 3,851 dollari a testa, 700 volte meno della media detenuta dal ricchissimo 1%.

“Vogliamo davvero vivere in un mondo dove l’1% possiede più di tutti noi messi insieme?  – ha detto Winnie  Byanyima – La portata della disuguaglianza è semplicemente sconcertante e nonostante le molte questioni che affollano l’agenda globale, il divario tra i ricchissimi e il resto della popolazione mondiale rimane un totem, con ritmi di crescita preoccupanti.”

“Negli ultimi 12 mesi, i leader mondiali – dal Presidente Obama a Christine Lagarde – hanno più volte ribadito quanto necessario e importante sia affrontare il tema della grande disuguaglianza. Ma ancora poco è stato fatto in termini concreti ed è arrivato il momento per i nostri leader di prendersi carico degli interessi della stragrande maggioranza per intraprendere un cammino verso un mondo più giusto per tutti.”

“Se il quadro rimane quello attuale anche le elite ne pagheranno le conseguenze – afferma Roberto Barbieri, Direttore Generale di Oxfam Italia – perché non affrontare il problema della disuguaglianza riporterà la lotta alla povertà indietro di decenni. I più poveri sono poi colpiti 2 volte: perché hanno accesso a una fetta più piccola della torta e perché in assoluto ci sarà sempre meno torta da spartirsi, visto che la disuguaglianza estrema impedisce la crescita.”

Lo scorso anno, Oxfam ha dominato la scena a Davos, rivelando che gli 85 paperon de’ paperoni del mondo detenevano la ricchezza del 50% della popolazione più povera (3,5 miliardi di persone). Quest’anno il numero è sceso a 80, una diminuzione impressionante dai 388 del 2010. La ricchezza di questi 80 è raddoppiata in termini di liquidità tra il 2009-2014.

Oxfam chiede ai governi di adottare un piano di sette punti per affrontare la disuguaglianza:

  1. contrasto all’elusione fiscale di multinazionali e individui miliardari;
  2. investimento in servizi pubblici gratuiti, come salute e istruzione;
  3. distribuzione equa del peso fiscale, spostando la tassazione da lavoro e consumi verso capitali e ricchezza;
  4. introduzione di salari minimi e graduale adozione di salari dignitosi per tutti i lavoratori;
  5. introduzione di una legislazione ispirata alla parità di retribuzione, e politiche economiche che prevedano una giusta quota per le donne;
  6. reti di protezione sociale per i più poveri, incluso un reddito minimo garantito;
  7. un obiettivo globale di lotta alla disuguaglianza.

Il documento di analisi di oggi, che arriva dopo il rapporto di ottobre Partire a pari merito: eliminare la disuguaglianza estrema per eliminare la povertà estrema, fa luce sul fatto che le grandi ricchezze siano passate alle generazioni successive e che le elite mobilitino ingenti risorse per piegare regole e leggi a loro favore. Più di un terzo dei 1.645 miliardari della classifica Forbes ha ereditato parte o tutta la ricchezza che detiene.

Il 20% dei miliardari ha interessi nei settori finanziario e assicurativo, un gruppo che ha visto la propria liquidità crescere dell’11% nei 12 mesi precedenti a marzo 2014. Questi settori hanno speso 550 milioni di dollari per fare lobby sui decisori politici a Washington e Bruxelles nel 2013. Nel 2012 negli Stati Uniti solo durante il ciclo elettorale, il settore finanziario ha speso 571 milioni di dollari in contributi per le campagne.

I miliardari che hanno interessi nei settori farmaceutico e sanitario hanno visto il loro patrimonio netto collettivo crescere del 47% in un solo anno. Questi settori, durante il 2013, hanno speso oltre 500 milioni di dollari in lobby a Washington e Bruxelles.

La preoccupazione di Oxfam è che il potere di lobby di questi settori possa essere un ostacolo alla riforma del sistema fiscale globale e all’adozione di regole sulla proprietà intellettuale che non precludano l’accesso dei più poveri a medicine salva-vita.

Come più volte ribadito da più parti, Fondo Monetario Internazionale in primis, la disuguaglianza estrema non è soltanto una pessima notizia per gli ultimi del mondo ma anche un danno enorme per la crescita economica.


Di Politica, razzismo, storie vere …

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Di: Gb☭☆
                                    
 In questo paese dove sfortunatamente il microfono è sempre in mano alle teste di cazzo si susseguono inarrestabili parole che ripetere sarebbe assolutamente oltraggioso. E allora capita di ascoltare i fascio-leghisti riversare puro odio e razzismo sull’ “immigrato di turno”. Ma voi, merde d’uomini, pensate veramente di non dovere nulla a queste popolazioni?
Vi tenete stretto il vostro benessere come se fosse tutto merito vostro. Lo pensate davvero? Eppure noi abbiamo sfruttato per anni il terzo mondo, siamo arrivati li e  li  abbiamo messi a lavorare sulle loro terre per estrarre quello che ci piaceva di più, li abbiamo sottopagati e poi ci siamo portati via i frutti. Diamanti, petrolio, oro terre e donne.
Tutto per soddisfare la nostra sfacciata mania di possesso e di ricchezza. Dove siamo passati abbiamo lasciato aridità, fame, miseria e qualche  tonnellata di scorie malsane . 
Gli USA hanno deportato milioni di autoctoni su navi, che non avevano nulla da invidiare ai treni della deportazione nazisti, per portarli a lavorare nei campi di cotone. Sempre la stessa illuminata democrazia occidentale mandava spie ad uccidere i capi di una delle due fazioni in lotta facendo ricadere la colpa sull’altra fazione in modo da scatenare l’ennesima guerra civile ad appannaggio delle malefiche industrie belliche tanto americane quanto europee. Nonostante tutti questi crimini non siamo ancora appagati ed ancora la “grande industria petrolifera” di casa nostra devasta la zona del delta del Niger con il petrolio, inquinando il fiume e rendendo impossibile la pesca agli abitanti. Ancora gli americani sganciano bombe chiamate “libertà” su paesi il cui unico crimine è possedere petrolio, distruggono tutto e tutti con le bombe intelligenti e poi appaltano la ricostruzione a ditte del loro paese. Proviamo per sfizio a fare un conto di tutti i soldi che dobbiamo al terzo mondo e restituiamoli, scommettiamo che il flusso migratorio avrà un’improvvisa inversione?
Quando vi comprate un diamante guardate dentro a tutte le sue cazzo di facce e ci vedrete uno dei tanti disgraziati annegati nel canale di Sicilia. Smettetela di credere che il solo fatto di essere fuori di prigione basti a considerarvi innocenti e quando guardate i vostri figli provate a vederveli  scomparire sotto gli occhi…perché se foste nati “nell’altra parte” quei vostri ragazzi obesi con l’iphone  non sarebbero probabilmente arrivati a vent’anni e quindi voi forse non sareste vissuti abbastanza per concepirli….alla faccia di altre centinaia di migliaia di bambini che crepano ogni anno e delle quali morti, soprattutto voi razzisti di merda, vi rendete complici compiacenti. Quando vi si mette davanti all’ oggettiva realtà e non avete argomenti per il contradditorio affidate la vostra falsa pietas all’ immaginetta strappa lacrime o alla donazione onlus. Al massimo  incolpate i vostri governi….Dimenticando che li scegliete voi, i vostri rappresentanti, quelli che danno voce ai concetti che anche VOI esprimete e di cui siete portatori sani. Quindi, razzisti dei miei coglioni, spero che gli immigrati che tanto odiate vi restituiscano almeno in parte ciò che avete direttamente od indirettamente, fatto passare  loro…..anche se so che sono troppo occupati a salvarsi la pelle per badare a delle merde come voi e non lo faranno.
 
“In qualsiasi modo si svolga la storia degli uomini, sono gli uomini che la fanno, perseguendo ognuno i suoi propri fini consapevolmente voluti, e sono precisamente i risultati di queste numerose volontà operanti in diverse direzioni, i risultati delle loro svariati ripercussioni sul mondo esteriore, che costituiscono la storia.”

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 Morale della favola.

L’attacco continuo alle  condizioni di vita e di quel poco “lavoro” che rimane, i tagli alla sanità, alla scuola, il restringimento dei diritti, non solo ci fa tornare indietro di cento anni, ma sta trasformando la società in una grande caserma. Uffici e fabbriche (Fiat in testa), in campi di concentramento in cui l’unica legge applicata è quella del padrone, senza alcuna mediazione e non per nulla si è persino discusso (udite, udite) di impiegare sistemi di sorveglianza per controllare i lavoratori.

 Per secoli la cultura dominante ha insegnato alle classi sottomesse la rassegnazione, a inchinarsi e accettare le sofferenze con cristiana o altra religiosa pazienza, come se il potere dei potenti di turno fosse frutto di una volontà divina e non degli uomini di una determinata classe sociale che difende i suoi interessi. Ora ai nostri giorni, tenta di plagiarla (ed in parte ci riesce benissimo) con l’ informazione pilotata dai media mainstream di regime. Allo stesso tempo, per naturale osmosi,  si è cercato in tutti i modi di soffocare qualsiasi moto di ribellione attentasse all’ incolumità della sacre istituzioni. Le sacre istituzioni come  il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO, la BCE che tutelano e difendono gli interessi della borghesia; “borghesia”, una vecchia parola ormai in disuso degli anni ’70, che rappresenta una delle classi sociali nelle quali viene tipicamente suddivisa la società capitalista e riguarda colui o coloro  che possiedono i capitali. Il pensiero predominante in chi li possiede è quello di arrogarsi diritti su tutto e su tutti e di dare continuità intrinseca a questi diritti trasformandoli in leggi creando, di fatto, una democrazia delegata e questo al di là dalle forme di governo e degli schieramenti politici. La crisi della democrazia italiana ha raggiunto gli aspetti di una farsa, di una commedia che sarebbe esilarante se non fossero in gioco i destini di milioni di cittadini e lavoratori, ai quali le forze politiche di governo non riescono e non possono offrire soluzioni per il miglioramento delle loro condizioni di vita sempre più precarie. La dirigenza del Partito Democratico, nonostante la confusione imperante al suo interno, sembra essere entrata sempre più nell’orbita di quei poteri capitalistici italiani ed internazionali che vorrebbero modificare la Costituzione antifascista nel nome della governabilità e degli interessi delle grandi imprese e delle banche ed anche se il sig.Renzi cerca di incantare il vas
to pubblico con i giochi di prestigio, la realtà ed il suo prospettarsi sul futuro non sembra godere delle stesse illusioni. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile oltre il 12%, mentre quello giovanile raggiunge il 40%; continua ad essere elevato il numero di ore di cassa integrazione; la povertà relativa supera il 12%, quella assoluta quasi il 7%; le imprese continuano a chiudere ad un ritmo impressionante; i contratti del pubblico impiego sono ancora bloccati.
 
I partiti e i movimenti della pseudosinistra, a fronte di questi dati, elaborano le più disparate teorie come, ad esempio, quelle di discutere  vari progetti di trasformazione della società cercando nuovi modelli di sviluppo piu equo fondato sulla lotta ai privilegi. Oppure, altri ancora, facendo in modo di attribuire allo Stato un ruolo di direzione economica ancorato a due fondamentali criteri: quello di favorire uno sviluppo produttivo fondato sul soddisfacimento dei bisogni reali dei cittadini e sulla sostenibilità ambientale; quello della promozione di uno sviluppo tecnologico che garantisca al tempo stesso la piena occupazione e il miglioramento generale degli stili di vita.
 
Questo potrebbe  benissimo avvenire attraverso il parlamento e con il partito borghese che meglio sappia rappresentarlo…. Ma in quest’epoca  non possono esistere partiti comunisti che esercitano praticamente gli interessi del proletariato e al tempo stesso praticano la lotta parlamentare ….sarebbe  corruzione economica e culturale, complotto simil-mafioso. La crisi, la disoccupazione, lo sfruttamento non si risolvono né con le riforme istituzionali e costituzionali, né con le lotte sindacali, pure importanti. Il capitalismo, per noi Comunisti, va abbattuto, fatevene una ragione!
stop

Democracy in action

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D€MOCRA$Y

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La crisi: il vero limite della produzione capitalistica è il capitale.

apart toon
“Economisti domestici, riformisti, al lavoro per riprogrammare una nuova politica economica, di riforme, di struttura, strategia industriale, per eliminare gli ostacoli allo sviluppo….” 

Prima di affrontare un’analisi delle leggi che stanno alla base della crisi capitalistica, siamo costretti ad aprire una parentesi “filosofica”: è necessario inanzitutto fare chiarezza sulle posizioni di “sinistra” che, in piena sintonia con i liberisti ed i loro addomesticati economisti borghesi, sostengono superato il Capitale di Marx, in quanto analisi di un “capitale” particolare ed attualmente inesistente, ovvero quello dell’ottocento.

Il portato reazionario di questa tesi balza immediatamente agli occhi, quindi che la borghesia si affanni usando tutti i mezzi per propagandarla è “comprensibile” e anche “giustificabile”;  pero’ che la stessa operazione venga compiuta da gente che si proclama “di sinistra” ci pare tantomeno sospetto e frutto di un’ambigua e notevole dose di doppiezza.
Buttato Marx, in questo modo sbrigativo, nella pattumiera, ci propinano ogni giorno una “nuova teoria”, mutuata – con una verniciatura di rosso scarlatto – dall’ ultima scoperta di qualche professorone di Università…
Ci preme quindi ribadire come Il Capitale di Marx, in quanto analisi scientifica dell’economia capitalistica, sia tutt’altro che superato e resti, anzi, l’unica base per analizzare la società attuale.
Come le crisi finanziarie più importanti degli ultimi decenni e della storia, la crisi finanziaria attuale ha colpito il mondo intero: partita dagli Stati Uniti nel luglio-agosto 2007, con la famosa bolla dei mutui subprime inesigibili, si è trasmessa ai fondi di investimento dei  capitali presi in prestito (hedge funds) che avevano piazzato nelle banche di mezzo mondo i titoli legati ai subprime, cosa che ha interessato le borse di tutte le maggiori capitali mondiali, e allargandosi al di fuori degli Usa si è estesa all’Europa e all’Asia.
Il “panico da 1929 ” che assale i capitalisti ad ogni grave crisi del loro sistema di produzione e della loro organizzazione sociale capitalistica, ha motivi ben materiali. 
Non va mai dimenticato che le crisi capitalistiche nell’epoca dell’imperialismo, ossia nell’epoca di predominio del monopolio e del capitale finanziario sull’intera società, sono tutte di sovrapproduzione; è la sovrapproduzione che mette in crisi tutto il mercato dei mezzi di produzione, dei beni di consumo, dei capitali, “dell’economia reale”.
La crisi finanziaria non è la bolla speculativa in sé ma la manifestazione, sul piano del credito e della valorizzazione del capitale, di una crisi di sovrapproduzione; la sua gravità è dovuta al grado di saturazione dei mercati e alla diminuzione drastica della produzione: se non si vendono le merci prodotte queste non vengono trasformate in valore, il capitale in esse contenuto non si  valorizza; tutta la circolazione del capitale negli ambiti finanziari non può generare autovalorizzazione di capitale se non basandosi sull’aumento continuo della produzione di merci, e quindi di capitali, attraverso uno sfruttamento sempre più intenso e allargato della forza lavoro salariata. 
Il capitalismo può svilupparsi senza entrare nella fase della sovrapproduzione?
No, perché la sovrapproduzione è generata dalla spinta inesorabile, continua e folle di  produzione di merci nella piena anarchia del mercato, merci che devono essere trasformate in denaro in un vortice perpetuo: ad una produzione di merci teoricamente infinita corrisponde un mercato nella pratica limitato. 
Le crisi cicliche del capitalismo anticipano la crisi più profonda e sistemica della struttura  generale del capitalismo; la reazione delle forze borghesi di ogni paese a queste crisi porta inevitabilmente ad una maggiore centralizzazione del potere politico, oltre che economico (interventi dello Stato in sostegno dell’economia), e ad un maggiore dispotismo sociale aggravando le condizioni già peggiorate del proletariato di ogni paese. 
Un proletariato, che pure se intossicato da decenni di politiche e  pratiche di concertativismo sindacale e collaborazionismo politico, resta comunque l’unica forza positiva della produzione capitalistica, unica forza che produce ricchezza senza poterla possedere, unica forza sociale dalla quale la classe borghese estorce sistematicamente plusvalore, unico vero pilastro di tutto il sistema capitalistico.
Senza il lavoro salariato, senza lo sfruttamento del proletariato, il capitalismo non starebbe in piedi. Certo, lo sviluppo tecnico e scientifico  di tutta una serie di lavorazioni e macchinari, se da un lato ha aumentato la capacità produttiva delle aziende, dall’altro ha aumentato la  produttività del lavoro e, perciò, in proporzione ha diminuito il  numero di operai necessari per produrre la stessa quantità di merci di prima. Per quanto si sviluppi il capitalismo, per quanto si sviluppi l’industria, non riuscirà mai ad impiegare nella produzione tutta la quantità di proletari che il suo stesso sviluppo genera. Tendenzialmente, più aumenta la produttività del lavoro, più diminuisce il numero di proletari necessario alla produzione.
Il proletariato mondiale sta scontando decenni di nefasta influenza opportunista da parte di tutte le organizzazioni che lottavano originariamente in nome della difesa delle sue condizioni di vita, di lavoro, dei suoi diritti e delle sue prospettive storiche di classe, ma che, avendo ceduto alla corruzione da parte della borghesia dominante, hanno tradito la causa proletaria sia sul piano della lotta di difesa immediata che su quello più ampio e decisivo della lotta politica per la conquista del potere.
Da decenni le forze  dell’opportunismo ci hanno abituati a credere alle menzogne della democrazia borghese, a credere che i sacrifici che ci obbligano a fare oggi serviranno  per ottenere benefici domani.
Da decenni le forze del collaborazionismo sindacale e politico ci hanno abituati a credere che la lotta di classe, lo sciopero deciso e senza tentennamenti, la risposta dura agli attacchi dei  padroni e dello Stato borghese alle nostre condizioni materiali di vita e lavoro, siano metodi antiquati ormai inefficaci; che era molto più produttivo spostare il perno dello scontro di interessi fra proletari e  borghesi dal terreno della lotta di classe, diretta e a viso aperto, a quello del negoziato, degli accordi fra le parti, della concertazione di obiettivi “comuni” ai quali i proletari dovevano sentirsi “cointeressati”.
Gli opportunisti sono veri e propri luogotenenti della borghesia nelle file del proletariato (Lenin), e fino a quando sarà data loro fiducia e obbedienza i proletari non avranno  alcuna possibilità di difendersi efficacemente dagli attacchi del padronato  e della classe borghese nel suo insieme.
Non è solo una questione di crisi, per cui i padroni appaiono con meno risorse a disposizione per cui  sarebbe inutile e illusorio chiedere aumenti salariali e altre concessioni che comportino spese consistenti anche da parte dello Stato (come ad esempio       l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari, il salario medio pieno a tutti o redditi di cittadinanza per disoccupati).
La questione non è sapere se il padrone, o lo Stato, dichiarano di poter concedere o no quella determinata richiesta: è  una questione di forza, e sempre è stata una questione di forza! Nella  misura in cui il proletariato è debole, diviso, frammentato, timoroso, confuso, rispettoso delle regole imposte dalla borghesia e succube dell’influenza delle forze dell’opportunismo sindacale e politico, non otterrà mai nulla che non sia quanto il padrone di schiavi sia disposto o meno a dare.
La vera questione, ed è di questo che  padroni, piccoloborghesi, bonzi sindacali e politicanti parlamentari, governanti, preti e timorati di dio, hanno una fottuta paura, la vera  questione è: quando il proletariato, nelle sue avanguardie, nei suoi strati  più combattivi e sensibili alla causa di classe, si accorgerà di possedere una forza straordinaria, potentissima, in grado di sbrecciare qualsiasi  ostacolo posto sul suo cammino storico di classe? 
Il proletariato rappresenta il lavoro vivo, la vera produzione di profitto: i capitalisti possono avere a disposizione quantità inenarrabili di mezzi di produzione, di impianti, fabbriche, macchinari, materie prime, tecnologie, mezzi di trasporto, ma  se non sfruttano su quei mezzi di produzione, su quegli impianti, in quelle  fabbriche, quei macchinari per la trasformazione delle materie prime, l’unica vera energia viva, e cioè il lavoro salariato, possono  buttare via tutto, perché da solo il profitto non si produce.
Non esiste l’autoproduzione di profitto capitalistico: deve essere estorta dal lavoro  salariato quella quota di plusvalore, sempre più alta, che corrisponde al tempo di lavoro non pagato con salario. E’ da qui che “misteriosamente” il capitale investito cresce di volume, e quindi di valore.
I comunisti sanno, per esperienza, che non basta lottare sul terreno di classe, quindi con mezzi e  metodi di classe, che non dipendano dalle compatibilità con gli interessi  delle aziende, degli utenti, dei consumatori, dei cittadini, dello Stato, ecc. , ma  bisogna lottare in modo organizzato costruendo comitati slegati dagli apparati, dalle grandi centrali sindacali, da ogni corporativismo tricolore perchè possano essere  effettivamente indipendenti dagli interessi, privati e pubblici, del capitalismo.
cscc
✮☭Comitato scrittura collettiva comunista ✮☭

” L’ invasione dei poveri “

Il testo che segue è stato scritto da un gruppo di compagni che si sono incontrati su Twitter e hanno creato  un comitato di scrittura collettiva comunista ✮☭ C.S.C.C.

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2014 :
il diritto di libera circolazione nel mondo è consentito solo alle merci e agli eserciti: chi fugge da miseria e guerre non ha diritto di superare le frontiere.Cosicchè la deliberata volontà dei governi di non voler gestire le problematiche dellimmigrazione produce una situazione sociale imperniata di degrado ed ingiustizia, nella quale trovano facile strada populismo spicciolo e schiavismo.
Milioni di uomini e donne, bambini e anziani, di ogni età, razza e paese, vengono ogni anno uccisi dalle guerre, dalle privazioni, dall’inquinamento, dal saccheggio del territorio, dalla deprivazione e da malattie curabili.
Una parte importante dell’umanità è relegata a vivere in condizioni di miseria, di emarginazione sociale, di ignoranza, di abbrutimento intellettuale e morale, di precarietà. 
La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale ha dato luogo all’ennesima crisi generale del capitalismo: una crisi economica che si trasforma in crisi politica e culturale. 
Una crisi mondiale, una crisi di lunga durata.
Le multinazionali al servizio della borghesia imperialista fanno razzia di risorse umane e ambientali nei paesi semicoloniali devastandoli; ad opera compiuta li abbandonano e si trasferiscono in altri. Questi si ritrovano ridotti nuovamente al rango di colonie, ma ora di colonie collettive dei gruppi imperialisti, sicché nessuno di questi si assume alcuna responsabilità politica, sociale, morale. Esiste  solo profitto e rendita oltretutto, approfittando della situazione sociale, alimentano “guerre civili” e fratricide, destabilizzando e deviando l’opinione pubblica.
Nel Bel Paese, la propaganda borghese funziona. E così, i nemici degli italiani diventano sempre quelli di tutti i razzisti accompagnati dal verbo imperialista e fa poca differenza se gli italiani ora odiano un po’ meno gli ebrei, ma più i rumeni, i nigeriani o i Rom, che diventano i capri espiatori di governi fallimentari e vengono additati al popolo come la causa di tutti i mali allo scopo di deflettere l’attenzione dai propri fallimenti.Il quotidiano linciaggio morale (e non solo) degli extracomunitari, è  la conferma tonante di quanto in basso sia sceso il discorso pubblico nel nostro paese e di come ormai molti ritengano perfettamente legittimo e premiante esprimere pubblicamente il peggiore razzismo.
“Istituzionalizzare” il  razzismo, per il liberismo ipercapitalista, diventa prioritario.Così si assiste al suo dilagare anche tra chi si considera antirazzista, tra i tanti che premettono sempre “io non sono razzista ma …” etra chi si adopera in distinguo, individuando buoni e cattivi: “I senegalesi sono lavoratori, i cinesi non pagano le tasse e comprano in contanti, i rumeni sono sempre ubriachi.”. 
Il razzismo è subdolo. È annidato ovunque, dove meno te lo aspetti. Alimenta, fomenta atteggiamenti e comportamenti profondamente violenti, spesso ignorati dai media mainstream, come succede nella “civilissima “Francia dove un giovane sedicenne Rom sorpreso a rubare in un appartamento, è stato linciato da una squadretta di “giustizieri”che dopo essere andati a cercarlo nel campo dove viveva, lo ha  cari­cato di forza su una Clio,  tra­sci­nato in un can­tina e mas­sa­crato di botte, abbandonandolo in coma e sanguinante den­tro un carrello di super­mer­cato.
In Italia, il razzismo è anche storia di rimozione, e non  solo rimozione della scomoda eredità del fascismo: dell’olocausto e delle violenze coloniali. È  la mancata elaborazione del razzismo sistemico che attraversa l’intera storia del paese,perché il razzismo non è un effetto contingente, legato ad altri fenomeni sociali, ma un profondo sistema di diseguaglianze prodotte dal capitalismo, con pesanti implicazioni sull’organizzazione sociale e del lavoro.
Noi comunisti chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, e quindi ci muoviamo in direzione univoca per una radicale rivoluzione  delle legislazioni vigenti che guardino in maniera totalmente diversa alle persone che scelgono l’Italia come paese in cui costruire parte, o interamente, un proprio progetto di vita; per rivoluzionare i meccanismi partoriti dallo sciovinismo imperialista considerando la soggettività delle scelte migratorie e piantandola con la retorica dell’invasione; predisponendo veri e propri  piani di revisione dell’assetto sociale in funzione  delle nuove istanze che gli assetti strategici neocolonialisti hanno creato; catalizzando le espressioni di rabbia e disagio  convogliandole in una nuova lotta di classe, pura  espressione della vera sinistra rivoluzionaria che le forze reazionarie di ogni colore stanno cercando di seppellire.
Questo è il testimone che dobbiamo passare:  immaginare e praticare contesti di convivenza fra eguali in cui pesino sempre meno le forme di sfruttamento dell’ imperialismo mondiale.  
cscc

Il consenso erdoganiano nel buio di rabbia e dolore

strageI salvati dalle viscere più buie di pece e fuoco, chi può respirare ma egualmente piange perché non si dà pace per i compagni sepolti in quel posto di lavoro che toglie la vita, in genere tacciono. Troppo tristi, troppo infuocato è l’animo nonostante i corpi sembrino robusti e ancora resistenti  allo scavo della silicosi. Però gli estrattori scampati dal turno maledetto non trattengono la rabbia e quel che covano da anni. Urlano, insultano i padroni della compagnìa del carbone che mascherava ispezioni e controlli. Inveiscono contro il partito del premier che gli concedeva quel lavoro. Rivelano che da Ankara burocrati compiacenti telefonavano all’azienda per annunciare le verifiche di sicurezza e solo in quella settimana certi protocolli venivano rispettati. Usciti gli ispettori nella Coal Mining Company di Soma tutto tornava come prima. Come alla Thyssenkrupp e all’Ilva dei Riva, come nelle statal-private aziende dei magnati cinesi, nelle fabbriche che restano in Occidente e in quelle che abbondano a Oriente. Ovunque il lodato liberismo magnifichi il suo sistema, distribuendo salari di fame e assicurando prematura morte. Si dice che l’azienda turca dell’area di Manisa avesse ridotto le spese estrattive per tonnellate di carbone da 140 a 30 dollari. Un risparmio notevolissimo evidentemente giocato sulla sicurezza e sulla pelle di chi sputava sangue nelle gallerie.

 

E’ il liberismo che ha donato per oltre un quindicennio un Pil turbo alla crescita turca. L’elargitore di scalate sociali che migliora la vita di ciascuno purché si trasformi in consensuale macinatore di consumi capaci d’arricchire l’esistenza di pochi. Meccanismo noto da due secoli, ma sempre reiterato e proposto da chi azzera tutele per incrementare profitti. Nel caso anatolico sposati col disegno di Erdoğan, creatore e difensore ormai d’un regime. Personalistico. Che s’avvale di bugie diffuse dalla tivù di Stato o da agenzie ufficiali come l’Anadolu, ieri intenta a citare le misure di sicurezza “rispettate” dalla compagnìa mineraria. Invece neppure un mese fa quell’azienda era al centro di un’interrogazione parlamentare dell’opposizione per verificare l’effettiva regolarità e i parametri ambientali. Un analista turco offre questo scorcio di quel dibattito: mentre il deputato interrogante si rivolgeva ad alcuni ministri dell’attuale governo costoro facevano capannello – colloquiando probabilmente d’altro – e qualcuno sorrideva. Anche questa è un’immagine globale, che si può notare in altre arroganti incarnazioni d’un ruolo che dovrebbe porsi al servizio della comunità e invece si serve di essa per i propri affari. Ma nel reiterare bugie, imbrogli, calunnie, diffamazioni il premier che vuole diventare presidente d’una propria Turchia, sembra non accorgersi delle crepe della sua creatura.

listeLa logica del consenso, elettoralmente tuttora elevato, può venir meno se il giocattolo della magnificenza nazionale interclassista che deve accontentare tutti s’inceppa. L’esempio dei capitalisti investitori nei settori più vari che devono addolcire il sistema erdoğaniano con contropartite in tangenti, offrendo in dono sacrificale propri media e giornali al grande accentratore (è accaduto a Kanaltürk, Bugün Tv, Habertürk e altri)  comincia a star stretto anche ai fruitori del businness. Se i manager dell’azienda di Soma si troveranno soli sui banchi degli imputati inizieranno a cantare tirandosi dietro il manipolo dei ministri ridanciani e assistenti picchiatori come Yusuf Yerkel. Un’ipotesi politicamente suicida per il governo sarebbe affossare inchieste e responsabilità. In quel caso l’ira che già circola fra la gente, mica solo i familiari delle vittime, monterebbe ancora. Già tanti attendono che l’anniversario di Gezi Park sollevi proteste ancora più tracimanti, perché nei dodici mesi trascorsi di cose ne sono accadute parecchie. Ma la breccia maggiore che deve preoccupare il sultano sono le riflessioni e ammissioni dei minatori stessi, che scoprono un’ovvietà peraltro diffusa: il voto di scambio. Lavoro in cambio d’una croce sulla scheda che gli uomini dell’Akp ricercavano anche sulle colline non distanti neppure 40 km dalla magnifica e storica Pergamo. Se quest’accordo, che dura da un decennio e ha portato il partito della Giustizia e Sviluppo a una maggioranza quasi assoluta, vede smarriti i due virtuosi riferimenti della denominazione i minatori, i loro padroni e le mille categorie arcaiche o ipertecnologiche del blocco sociale erdoğaniano abbandoneranno il presuntuoso leader al suo destino.

Uruguay disposto a ricevere bambini siriani come rifugiati

mujica

da Prensa Latina

traduzione di Ida Garberi

Il presidente uruguaiano, Josè Mujica, avrebbe comunicato al segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, la sua proposta di ricevere in Uruguay circa 50 bambini siriani come rifugiati.

Il settimanale “Busqueda” ha citato oggi fonti ufficiali ed alcuni partecipanti nei preparativi, che riportano che Mujica ha inviato una lettera su questo tema al capo delle Nazioni Unite.

Se l’ONU accede al sollecito, Mujica pensa di sollecitare un aeroplano alla presidentessa del Brasile, Dilma Rouseff, per portare i bambini in Uruguay dal loro rifugio in Giordania, ha aggiunto il settimanale.Sostiene, inoltre, che l’idea è alloggiarli nelle installazioni della scuola agraria che si trova ad Anchorena, un parco e residenza di riposo presidenziale nel dipartimento di Colonia, a 208 chilometri da Montevideo.

Nella sua recente visita nei vari paesi arabi, il cancelliere Luis Almagro ha visitato il campo di rifugiati di Zaatari, in Giordania, ed ha visto numerosi bambini minori di otto anni che vivono lì, alcuni con le loro madri ed altri orfani.

In una posteriore trasmissione alla radio, Mujica ha fatto riferimento al tema e si è chiesto: Non potremo occuparci del tema come società?

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Commento:

Questo breve articolo per come i media di massa stanno facendo informazione,non avrebbe nessuna attenzione, nessuna considerazione, nel cinismo bieco della politica populista,reazionaria e fascista, l’immigrazione è una brace su cui soffiare per accendere la fiamma dell’odio razzista, delle guerre tra poveri, tra ultimi. Il segnale forte di questo grandissimo uomo che è il Presidente Pepe Mujica va nel senso opposto, si offre per salvare 50 bambini dalla guerra andandoli a prendere,  quello che mi preme sottolineare è il numero, offre e promette quello che è sicuro di poter dare a queste persone.

Molto distante dalle poltiche globali sull’immigrazione  che con operazioni militari pattugliano i mari, raccogliendo questi disperati senza nessun piano politico-economico-sociale, di fatto dopo vengono depositati nei CIE dove sopravvivono in condizioni di degrado, mentre chi riesce a uscire dai lager, va a rafforzare l’esercito industriale di riserva dell’ennesima crisi del capitalismo .

Ricordiamo che i gruppi imperialisti razziano le risorse umane e ambientali dei paesi semicoloniali, li devastano e quindi a missione compiuta li abbandonano e si trasferiscono in altri paesi. I paesi coloniali vengono ridotti nuovamente a rango di colonie, ma adesso diventano colonie collettive dei gruppi imperialisti, sicché nessuno di questi assume alcuna responsabilità per la conservazione a lungo termine delle fonti di profitto e di rendita. L’emigrazione selvaggia e atroce di masse di lavoratori e una sequela interminabile di guerre sono le inevitabili conseguenze di questa nuova colonizzazione.

A noi visionari piacerebbe pensare che le risorse dei paesi “terzomondisti” rimanessero nelle loro mani, che questi popoli potessero vivere dignitosamente con tradizioni cultura dove sono nati e hanno vissuto, ma per far questo dobbiamo iniziare a redistribuire la ricchezza,subito quella enorme concetrata in poche mani e dopo forse rinunciare a tutte quelle risorse che noi occidentali  consumiamo rispetto a loro, spesso con sprechi di generi alimentari e di oggetti inutili che il mercato con le sue campagne induce a comprare

akaGb

Nuovo blitz di Militant nella sede di FIM e UILM

Questa mattina una ventina di precari, disoccupati e lavoratori a nero hanno accolto i continui inviti di padroni e governo ad essere meno choosy nella scelta del lavoro e si sono reinventati come interior designer della sede romana di FIM e UILM. Visto l’amore per il giallo padronale di Bonanni ed Angeletti i militanti hanno dato un tocco di colore a dei locali altrimenti cupi aggiungendo delle nuance di giallo uovo e giallo vernice e qualche tocco di rosso kaki.